Bi8
OGNI SGUARDO UN PASSO
25.11.2012 – 31.1.2013

OGNI SGUARDO UN PASSO
Vivian Maier e le altre: sulle strade della fotografia
a cura del Comitato Biennale dell’immagine

Vivian MaierStefania BerettaGiusi CampisiAnne Golaz,
Nicole HametnerClaire LaudeAnna LeaderPiritta MartikainenSara Rossi

Spazio Officina
Via Dante Alighieri 4
CHIASSO
Dal 25.11.2012 al 20.01.2013
Inaugurazione 24 novembre 2012
MA – VE   15.00 – 18.00
SA – DO   11.00 – 18.00
Chiuso  il  lunedì

La formula “Ogni sguardo un passo”, che fa da titolo a questa edizione della Biennale dell’immagine, si applica in maniera ideale nell’ampia superficie dello Spazio Officina, dove, come è consuetudine, si incontrano opere di più artisti.

Non è per nulla un caso, del resto, che il fulcro dell’allestimento sia costituito da un centinaio di fotografie in bianco e nero di Vivian Maier (1926-2009), la grande scoperta della street photography statunitense degli ultimi anni, poiché fin dall’inizio la sua figura ha costituito la vera e propria “sorgente” dalla quale sono scaturite le altre scelte.

Ciò non significa però che bisogna per forza individuare parallelismi forzati tra il suo modo di procedere e quello delle artiste contemporanee (Stefania BerettaGiusi CampisiAnne GolazNicole HametnerClaire Laude, Anna LeaderPiritta Martikainen e Sara Rossi), che dal canto loro hanno lavorato o lavorano in modo completamente diverso. A contare sono semmai gli accostamenti suggeriti, i contrasti e le sorprese che fanno da filo conduttore a un percorso libero, che intende presentarsi in primo luogo come un esercizio dello sguardo. Passo dopo passo.

FESTIVITA
APERTO
SA  08 12 2012
ME  26 12 2012
DO  06 01 2013
CHIUSO
MA 25 12 2012
MA 01 01 2013

entrata             CHF  10.-  EUR   8.-
ridotti*              CHF    7.-  EUR   5.-
gruppi**            CHF    5.-  EUR    4.-
Chiasso card     50%
Gratuito
bambini fino a 7 anni
Associazione “Amici del Museo”

cumulativo = m.a.x.museo + Spazio Officina
entrata           CHF   12.-  EUR  10.-
ridotti*            CHF   10.-  EUR    8.-
gruppi**          CHF     7.-  EUR    5.-
Chiasso card  50%

* ridotti: pensionati AVS/AI e studenti
Associazioni convenzionate
VISARTE, ICOM,
passaporto Musei svizzeri
**gruppi = minimo 15 persone
e scolaresche

ENTRATA  GRATUITA
DO 02 12 2012
DO 06 01 2013 

Vivian Maier

Un secondo sguardo

Il desiderio, nel breve contributo che segue, è quello di andare oltre l’aneddoto, capire il senso, l’impresa intima e la costruzione privata di una vita, non l’effimera curiosità. Inizieremo forse mettendo da un lato l’etichetta, street photographer, didascalia anche della sua primissima biografia, che purtroppo non può essere esauriente. Perché in Vivian Maier è assente ogni intenzionalità di denuncia o cronaca così come l’atteggiamento di buttarsi nel mondo, cercando di captare, nelle forme e negli eventi. Nelle sue immagini vi è sorpresa e quotidianità. Non può essere impiegato un criterio autoriale o di categoria professionale (non espose e raramente stampò). Schiva al limite dell’invisibilità, preoccupata solo di conservare rullini, riviste, libri ed archiviare il suo percorso – raccontano coloro che la conobbero. Infine, ciò che al giorno d’oggi riesce difficile da concepire: la rinuncia alla superficie delle cose (per quello stupore si serve della fotografia), la rinuncia ad apparire, alla notorietà, alla nozione di carriera e alla ricompensa. Un teatro a cui rinuncia.  Da qui la necessità, quasi l’urgenza, di andare più a fondo. Ad un livello direi esistenziale, vitale: un’impresa marcata e condotta per un’intera esistenza da una necessità impellente.  Vivian Maier infatti non produce fotografie, bensì vive – letteralmente – di fotografia. Inquadrare e scattare sono altrettanto importanti quanto respirare, dormire e mangiare: sono bisogni vitali. Indossare la macchina fotografica è necessario come coprirsi d’inverno con un cappotto (il suo, sempre il medesimo portato con un cappello da uomo, che rintracciamo negli autoritratti). Migliaia di film aspettano di essere sviluppati, proprio perché l’esigenza impellente era più forte dello stesso risultato, anche quello parziale di un provino a contatto. La Rollei diventa un’appendice del proprio corpo, del proprio ventre (gli apparecchi a pozzetto/biottiche hanno un punto di ripresa più basso, viscerale, dato che lo sguardo si dirige verso il basso, senza, curiosamente, guardare direttamente la realtà). La strada è certo lo scenario, tutto il mondo è un teatro (come recita Iacopo in “As you like it” di Shakespeare) che continua con perfetta aderenza a ciò che osserviamo in Maier “e tutti gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate; e una stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti…“. Ma la città – la sua concentrazione di spazi e storie –  è soprattutto scenografia ai propri pensieri: Vivian, non per un giorno, ma per decenni, è stata Mr. Leopold Bloom dell’Ulisse di Joyce. Con l’unica e rilevante differenza che il suo “flusso di pensiero” è visivo: la strada offre le diagonali, le linee e le forme – il palco davanti agli occhi.  E proprio su questo palco entrano in scena figure autentiche – non caricature – immerse nel loro quotidiano; sagome a tratti anche dolorose, sovrappensiero. Pochi fotografi sono riusciti a dare un ritratto completo e trasversale della società, dall’alto al basso, dalla ricca borghese al clochard. Vi sono segni e scritte che invadono lo scenario urbano, pochissima cronaca (un riferimento all’uccisione di Robert Kennedy). Una realtà non sempre felice, ben diversa dalla way of life raccontata dai media. La Maier sa cogliere le solitudini, più che le sofferenze. Ma anche qualche raro abbraccio. Nella grande quantità di ritratti, più che l’espressione sembra eloquente il linguaggio del corpo: le spalle curve, le mani “che pensano” dietro la schiena.  Rispetto alla “street photography” Vivian Maier osserva e seleziona, focalizza la sua attenzione su un dettaglio, sull’architettura creata dalla geometria, su un accostamento insolito. Una voracità che ricorda quella di Walker Evans, ma senza quell’attenzione alla superficie ed alla serialità delle cose, senza intenti documentaristici – solamente biografici.  Inoltre, non vi è solo la strada: scorgiamo interni di stupefacente bellezza, di una rara trasparenza poetica, di una grande purezza. Le riconosciamo anche un piglio particolare nel cogliere aspetti surreali: due vesti trasparenti, come fantasmi su un filo, un guanto perso infilato su un idrante.  Non è questa la sede per trattare alcuni aspetti del suo sguardo, così pieno di umanità ed incredibilmente privo di giudizio: l’evidente sensibilità nei confronti del mondo dell’infanzia, l’attenzione per i poveri e gli anziani, il rispetto per la popolazione afroamericana. La sua fotografia accarezza e ammorbidisce certi margini taglienti della società. Non abbiamo lo spazio nemmeno per immergerci in quel suo amore verso il cinema (spesso incontriamo le insegne luminose), riferimenti visivi che certo ad un’analisi futura  si riveleranno pregnanti.  Appare chiaro che si tratta di un occhio educato e cresciuto nel Vecchio Continente, dalla storia dell’arte, dalle letture, dal cinema (di cui sembra che scrisse), immune anche da una certa esaltazione dell’oggetto, epifania del consumismo così presente in quei decenni. Nelle vetrine, come vedremo a breve, Vivian vede solo il riflesso di se stessa.  Gli autoritratti Se un vertice può essere indicato nella sua opera, tanta è la qualità fotografica espressa, esso è raggiunto negli autoritratti. Per innovazione, per sperimentazione e coraggio: con pochi elementi raggiunge un disarmante quanto intimo lirismo. Il suo riflesso, attraverso uno specchio o una vetrina, un’ombra di sé con cui giocare (decenni prima di Lee Friedlander). Colpisce la creatività, l’insistenza, la messa in gioco di se stessa (sempre il medesimo cappotto, il cappello, le scarpe pesanti/grosse); un interrogarsi sulla propria incompletezza, la consapevolezza dolorosa della propria condizione marginale, non illuminata. Gli autoritratti, insomma, come gli unici punti fermi di un film interiore. Un primo piano velato.  Come ha acutamente osservato Geoff Dyer, Vivian Maier esiste “solamente attraverso quello che ha visto“. Si può aggiungere che, per noi, la Maier esiste nella misura in cui rimettiamo in discussione quello che noi abbiamo visto finora.  Sappiamo quanto alla fotografia venga affidato il compito, l’imperativo, di ricordare: ma cosa possiamo ricordare? La fotografia è davvero la memoria? Adoro la dicitura “Untitled, Undated” alle sue immagini: nessuna frase può meglio definire il ricordo.  Vivian Maier scuote le reminiscenze di chi ha guardato la fotografia americana: da Helen Lewitt a Robert Frank, da Weegee a Diane Arbus, da Walker Evans a Lee Friedlander. Fotogrammi come  piccole madelaine visive. Non è certo qui la questione di anticipare o meno uno stile: è riconoscere, attraverso paragoni e confronti, quello che abbiamo già visto.  Attraverso – fisicamente – lo sguardo di Vivian Maier, riscopriamo un passato che abbiamo vissuto, pensandolo diversamente, in una certa misura, dandoci la possibilità di pensare alla propria storia – perchè è da quel passato che provengono, anche se non le abbiamo viste- Le fotografie di Vivian Maier sono le parole che non abbiamo detto, i silenzi che non abbiamo trattenuto. Da eccellente educatrice, è come se ci avvertisse: abbiate cura di quanto avete vissuto, e guardatevi con un poco di umana indulgenza.

Gian Franco Ragno 2012

biografia

Courtesy
the Jeffrey Goldstein collection
www.vivianmaierprints.com
e Galleria Cons Arc, Chiasso

about

Stefania Beretta
Montagne violate

La montagna

A volte aprono una nuova autostrada, squarciano la terra, scuotono gli alberi fino alle radici. La Vecchia soffre ancora una volta.
Gli uccelli lasciano il margine della foresta, abbandonano l’autostrada.
Vanno su verso le cime delle montagne e dai picchi più alti colgono orizzonti più ampi, prevedono addirittura l’era dello spazio.

Etel Adnan

biografia

Giusi Campisi
Scarto minimo

Lo scarto minimo è un video composto da quattro episodi, storie periferiche di talenti da dilettanti considerate come nulle e senza effetto.
Al principio di esclusione, alla partizione e al rigetto delle parole considerate irrilevanti, o che al contrario ci mettono all’erta, tentando di dargli un senso, di pronunciarle anche per noi stessi , il discorso che si svolge in queste storie si oppone con un disturbo, una stonatura.
E’ il tentativo di mettere in atto una resistenza balbettante, lo scarto minimo di un falso deragliamento, è il gesto risibile di sottrarsi alla resa agli altri, alla struttura che immaglia nella fitta rete del linguaggio, condannati per sempre a dirsi e a tradirsi.

biografia

frame dal video “Scarto minimo”
2012 di Giusi Campisi
( Suzie Wong project + u-inductio)

frame dal video   “Scarto minimo”
2012 di Giusi Campisi
( Suzie Wong project + u-inductio)

backstage del video “Scarto minimo”

backstage del video “Scarto minimo”

Anne Golaz
Scènes Rurales

Scènes Rurales è un progetto fotografico sul destino del mondo contadino. Con riferimento al pittore Albert Anker che ha costruito l’immagine idealizzata della vita contadina elvetica, il lavoro di Anne Golaz si interroga sulla rappresentazione del mondo rurale tramite una forte estetizzazione e la costruzione di scene ambigue. Immagini in bilico tra teatralità e realismo, con i personaggi che emergono dall’oscurità, lo sguardo sognante e pieno di domande, stanco o assente, non sono più le figure idealizzate di un’agricoltura prospera, ma piuttosto esseri vulnerabili e pieni di angosce. Il contadino sovente rappresentato tramite le sue azioni è qui privato di ogni gesto produttivo in assenza di ogni riferimento temporale diretto. Ma allora come sopravvivere?

Le riprese dove regna un’inquietante e affascinante oscurità sono completate da immagini più strettamente documentaristiche. Costruzioni agricole che diventano decoro di scene evocate e una collezione di oggetti del quotidiano che per decontestualizzazione si trasformano in estraneità, vestigia di un mondo in declino.

Se il lavoro di Anne Golaz è basato su preoccupazioni sociali e politiche contemporanee non pretende di fare un inventario del mondo contadino attuale. Suggestive e personali, le sue immagini ci invitano all’incontro di un mondo rurale, con le sue ricchezze, la sua fragilità e le sue ombre.

biografia

Nicole Hametner
Montchoisi

La serie Montchoisi è un approcccio a un luogo di svago, come una piscina in estate, il cui spazio d’inverno si trasforma in un campo di pattinaggio. In questo lavoro fotografico i temi della notte, dell’acqua e delle giovani donne ritornano costantemente creando un’atmosfera notturna lontana dalla quotidianità. L’assemblaggio propone un’immersione in un universo con svariati punti di riferimento suggestivi.

Ho iniziato a fotografare la piscina e ho passato molto tempo a fotografare la gente dentro e intorno alle vasche, ma è nel sottosuolo, dove si trovano gli oblò che permettono di osservere i nuotatori da sotto la superficie dell’acqua, che il mio lavoro ha preso veramente forma, come pure dalle riprese notturne che mi hanno offerto un felice contrappunto rispetto al caos e alla tensione percepiti di giorno. Tra le numerose sfaccettature di quel sito ho preso rapidamente coscienza che il mio lavoro si andava costruendo su tre temi: la notte, l’acqua e le ragazze.

Come al solito, ho cercato di produrre immagini piuttosto astratte che emanano una certa atemporalità. Nel raccconto della Genesi dominano le tenebre prima che arrivi la luce e l’acqua esiste prima della terra. L’acqua è una condizione essenziale per la comparsa della vita, essa stessa porta alla nascita e all’infanzia. Si può dunque intendere questo lavoro come un’evocazione delle origini.

D’altra parte il numero tre mi appassiona, è una cifra fondamentale per la maggior parte delle civiltà, esprime la totalità, la compiutezza. Dall’antica concezione delle età della vita fino alla definizione freudiana degli stadi dell’evoluzione dell’Io, passando per le Parche, divinità romane che regnano sul destino dell’umanità dalla nascita alla morte, il numero tre ritorna costantemente, come le triadi nelle mie fotografie. Così le diverse condizioni dell’acqua, allo stato liquido, di vapore o solido, o ancora le tre tonalità dominanti nelle mie immagini di Montchoisi, il nero, il bianco e il blu.

Il mio modo di lavorare non è cambiato, cerco sempre di far apparire il carattere sconcertante, inquietante di un soggetto. La notte è da lungo tempo al centro del mio lavoro. Questo nasce, tra l’altro, dal mio interesse per il romanticismo nero e per la psicoanalisi. Per contro la tematica dell’acqua è nuova: i suoi stretti legami con l’immaginario l’avvicinano alla foresta.

(Estratti dall’intervista di Sylvie Henguely a Nicole Hametner).

Le fotografie presentate sono state realizzate inizialmente per il libro Montchoisi. La patinoire-piscine de Montchoisi, Lausanne, Suisse, progetto a cura di Nathalie Choquard, con fotografie di Nicole Hametner e Nicolas Savary, idPure Editions, maggio 2011.

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Claire Laude

“Hier bin ich Mensch (Alexanderplatz)

“Viviamo in un mondo dove tutto è merce. E ciò che non lo è ancora, lo diventa.” Lewis Baltz, in un’intervista raccolta da Rémi Coignet per “Le Monde” del 20 agosto 2012, riassume una della funzioni principali di Alexanderplatz, luogo centrale della città di Berlino, attraversata ogni giorno da molte migliaia di pedoni, mezzi pubblici e biciclette. Mescolando trasporti e commerci, luogo turistico e di manifestazioni, questa piazza è conosciuta da tutti coloro che abitano a Berlino e ha subito nel corso della storia numerose trasformazioni e interpretazioni.
Nel 2001 ho realizzato una serie su Alexanderplatz. Ho fissato momenti di vita quotidiana, ho fotografato incontri, e mi ha affascinato una costruzione con un’installazione artistica.
Nel 2012 la piazza è profondamente cambiata rispetto allo sguardo che vi ho gettato undici anni fa. Luogo in divenire, il vuoto e la fisionomia precedenti hanno lasciato il posto a una giustapposizione di architetture commerciali e di strutture provvisorie destinate a negozi e pubblicità. Diversamente dal 2001 ho scelto interni ed esterni vuoti, che esprimono ai miei occhi lo scarto possibile tra le scelte progettuali effettuate e le realtà del vissuto sulla piazza. I collages di foto prima e dopo, foto di maquettes e di progetti, non presentano il risultato di una situazione a una certa data, ma traducono la difficoltà di percepire e comprendere le conseguenze di trasformazioni rapide e provvisorie.
Il titolo “Qui io sono essere umano” è tratto da un manifesto visto sul posto, annuncio per un’offerta di lavoro come cassiera, e senza articolo traduce il sentimento di ironia e di distanza avvertito su questa piazza che mi è divenuta estranea.

biografia

Anna Leader

“Here we lived, for here we are living and here we shall live”
(Qui viviamo, perchè qui stiamo vivendo e qui vivremo)

“Here we lived, for here we are living and here we shall live” (Qui viviamo, perchè qui stiamo vivendo e qui vivremo) è una serie che ho prodotto per l’Ottava Biennale dell’immagine di Chiasso. Al momento il mio lavoro si concentra sulle nostre reazioni al cambiamento, e in particolare ai modi con cui cerchiamo di misurarlo e controllarlo nel tempo.
La serie consiste di due parti: la prima è il retro della porta della camera-armadio di mio nonno, sulla quale veniva registrata la crescita dei suoi nipoti. Ho scattato queste fotografie dopo la morte di mio nonno perché temevo che la porta andasse perduta nella vendita dell’appartamento. La seconda parte è la riproduzione di una diapositiva che ritrae una stanza dell’ultimo appartamento in cui i miei nonni hanno abitato prima di lasciare definitivamente l’America. Nell’arco di trent’anni hanno vissuto in diversi luoghi degli Stati Uniti, in Venezuela, in Sudafrica, e infine in Inghilterra. A ogni spostamento la nuova casa veniva arredata con gli stessi elementi, spediti via mare da un continente all’atro: non solo i mobili, ma anche le moquette, le parti dei camini, i componenti elettrici e gli assiti.
Il lavoro di riproduzione mi ha portata a confrontarmi con le tensioni compositive, psicologiche e affettive interne all’immagine. Questa è parte di una serie di diapositive in 35mm, una sorta di archivio visuale conservato in sacchetti di plastica assieme a negativi, copie di negativi, stampe dai negativi, lettere d’amore, lettere furenti, cartine stradali e geografiche, un tappo di champagne, bollette varie, telegrammi e referti medici.

biografia

Untitled 2009

Untitled, 2009
134 x 107

Untitled, 2009
134 x 107

Piritta Martikainen

Familiar

Ritorno nei miei luoghi nativi cercando che la memoria si manifesti direttamente nella natura, nella quale la figura umana si materializza fino a diventare un riverbero che attraversa silenziosamente intere foreste.Questa serie è composta da quanto mi viene rivelato dalla natura a proposito della mia vita, del mio passato, della mia identità.

Piritta Martikainen

Le opere di Piritta Martikainen ci portano nel mondo incantato della Finlandia dove è nata e cresciuta. Non è però un viaggio scontato, ma un itinerario ricco di sorprese, proprio perché è la sorpresa l’elemento-chiave che, in questo momento almeno, pare interessarla di più nel suo lavoro fotografico. Sorpresa intesa come differenza tra quel che la fotografa vede nel mirino al momento dello scatto e il risultato finale. Effetto-sorpresa che nasce dall’uso di tempi d’esposizione lunghi, oppure dal movimento volontario impresso all’apparecchio, o ancora dal movimento della stessa fotografa. Un effetto «mosso» che aggiunge alle sue fotografie una dimensione di irrealtà, facendole perdere il controllo della sua opera che cambia aspetto proprio nella minuscola frazione di secondo durante la quale prende forma. Ne nascono immagini solo in parte astratte, che mantengono una loro riconoscibilità, pur assumendo d’altra parte un innegabile aspetto pittorico che ci fa respirare una sensazione di libertà. Libertà che oggi spesso i fotografi tendono a dimenticare in nome di un’utopica e fredda riproduzione della realtà. Contribuisce a trasmettere questa sensazione particolare anche il tipo di luce con la quale si confronta la fotografa: una luce nettamente diversa dalla nostra, una luce che o è merce rara o abbonda a dismisura persino di notte. Le immagini che ci presenta Piritta corrispondono quindi alla visione che un occhio umano non potrebbe mai vedere, a meno che si tratti di un occhio in costante movimento in grado di isolare singoli fotogrammi all’interno della sua visione continua. Potrebbe trattarsi, ad esempio, dell’occhio di una bambina che, librandosi nell’aria seduta su un’altalena, apra gli occhi solo di tanto in tanto per una frazione di secondo riuscendo a «stampare» sulla propria retina queste immagini sfuggenti. È proprio la parziale indeterminatezza di queste fotografie che fa sì che – almeno teoricamente – esse possano appartenere a ciascuno di noi. Sono frammenti di un viaggio – fisico ma anche interiore – in un territorio misterioso e lontano, ma al tempo stesso ben conosciuto, dove non tutto sarà mai veramente chiaro, dove all’ultimo momento ogni cosa si rimette in discussione azzerando le certezze accumulate fin lì. Un mondo dove paesaggi e personaggi sono uniti da un legame fluido che li avvicina ancor di più del solito, come se fossero inscindibili, riflessi di luce diversi all’interno di un’unica irrealtà fatta di passato e presente, dove si mischiano qui e altrove e – in ultima analisi – mondo dei vivi e aldilà.

Antonio Mariotti

biografia

Sara Rossi

Lanterna Magica (Butterfly Heaven), 2011
Video installazione, proiezione attraverso due sfere di vetro, 15 e 20 cm. Video DVD, 6′, loop. Colore, Sonoro.

L’opera nasce dalla suggestione per lo spettacolo della “lanterna magica”, strumento che fra il XVII e il XIX secolo anticipò la proiezione cinematografica, e dall’osservazione delle farfalle esotiche al Nature Museum di Chicago.
La proiezione attraverso due sfere di vetro delle immagini girate e rielaborate dall’artista, associata a musica Armena, da vita a un’installazione ambientale di grande liricità che trasporta la realtà naturale in una dimensione onirica di estasi visiva e di sospensione temporale. I colori solarizzati e l’effetto sferico conferiscono alla visione un carattere psichedelico, insieme attrattivo e liberatorio; il battito ripetuto delle ali di farfalla, il loro posarsi su fiori e foglie assume il senso universale dell’impulso vitale, dell’adesione alla meraviglia del mondo.

Stefano Pezzato, 2011

Tributo postumo al film Farfallio di Paolo Gioli e al suo lavoro sulla rivelazione del dispositivo, l’idea di Lanterna magica nasce dalla visione e dall’amore per le antiche immagini e proiezioni delle lanterne come da una riflessione sulla veggenza e sulle sfere di cristallo attraverso le quali sono percepibili luoghi e tempi di un altro mondo, possibile ma diverso o altrove, onirico e magico.
La magia del cinema delle origini con i suoi colori dipinti e le proiezioni di farfalle colorate si animano in un nuovo paradiso il cui effetto è percepibile nella rivelazione di un mondo naturale espresso dall’erotismo di un gruppo di farfalle in amore.
La distorsione (aberrante) delle sfere di vetro poste davanti all’ottica del video proiettore filtra la luce che si materializza contribuendo a creare l’illusione che la proiezione sia tridimensionale e attraversabile come una soglia.

Sara Rossi, 2012

biografia

Lanterna Magica, 2011
Videoinstallazione (dettaglio)
©ZEP Studio

Lanterna Magica, 2011
Videoinstallazione (dettaglio)

Lanterna Magica, 2011
Videoinstallazione
©ZEP Studio

Lanterna Magica,2011
Videostill

biografie

Vivian Maier

(Chicago 1926-2009)

Scarse le notizie sulla sua vita, di famiglia probabilmente di origine francese, svoltasi tra Chicago e New York. Nubile e senza figli, a nostra conoscenza, vive svolgendo la professione di governante presso alcune famiglie che, in età più avanzata, si sono occupate di lei.

Fotografa per passione, senza un riscontro espositivo o professionale, la Maier sembra fotografare per se stessa e per esprimere il suo complesso rapporto con il mondo – soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta, concentrando il suo interesse nella vita sulle strade. Ma non solo: grande rilievo ha l’indagine su se stessa, sulla propria identità con una serie continua di autoritratti e riflessi della sua presenza.

Il suo fondo –custodito in un magazzino in affitto e composto da centinaia di migliaia di scatti – è stato riscoperto nel 2007, rivelando, sin da subito, una qualità e un linguaggio fotografico di altissimo livello.

Si è trattato quindi della scoperta più rilevante nella storia della fotografia negli ultimi decenni. Vivian Maier anticipa, attraversa e rivoluziona le nozioni e le categorie acquisite della storia della disciplina. Ella riassume infatti temi come la serialità e l’universo di segni, (Walker Evans) la tensione sociale e ideale verso dei modelli (Lisette Model, Diane Arbus) la strada e la folla (Helen Levitt, Lee Friedlander). Ella preconizza, se possibile, tendenze di decenni più tarde, così come l’autoritratto e l’analisi di sé (Nan Goldin, Francesca Woodman).

In ultima analisi, nelle fotografie della Maier, si può cogliere l’aspettativa  di ognuno di noi di rivedere il proprio passato, di raccontarlo. La possibilità di venire a patti con il destino.

Bibliografia:
John Maloof, Vivian Maier. Street Photographer, Brooklyn NY, PowerHouse Books, 2011 -prefazione di Geoff Dyer

Richard Cahan and Michael Williams,  Vivian Maier: Out of the Shadows, CityFiles Press (ed.), 2012

Courtesy
the Jeffrey Goldstein collection

www.vivianmaierprints.com

e Galleria Cons Arc, Chiasso

Stefania Beretta

Vive e lavora a Verscio (CH)
Dall’inizio degli anni ’80 compie lunghi viaggi in Europa, in Asia (in particolare in India) e America. Inizia ad esporre nel 1985. Nel 1994 soggiorna sei mesi alla Cité Internationale des Arts a Parigi grazie alla borsa di studio conferitale dalla SPSAS. Nasce da quell’esperienza la pubblicazione nel 1997 di Paris noir per le edizioni della rivista Pagine d’arte, Lugano-Milano.
Nel 1995 riceve il primo premio per la fotografia STBA Svizzera per il suo lavoro d’autore.
Nel 1998 è invitata dal Centro culturale Europos Parkas di Vilnius, Lithuania per svolgervi un lavoro personale. Nel medesimo anno riceve la borsa di studio federale dalla Fondazione Gleyre (Svizzera).
Nel 2000 la casa editrice trans photographic press di Parigi le pubblica il libro Rooms, nel 2002 il libro Trop e nel 2006 il libro In Memoriam.
Nel 2004 la SRG SSR Idée Suisse realizza Photosuisse in collaborazione con la Fondazione Svizzera per la Fotografia; si tratta di film-ritratto accompagnati da un’importante pubblicazione di 28 fotografi svizzeri.
Nel 2005 riceve la borsa di studio della Landis&Gyr per il soggiorno di sei mesi a Londra.
Nel 2009, la Fondazione Bogliasco, Centro Studi Ligure per le Arti e le Lettere, le assegna la borsa di studio per le arti applicate.
Nel 2011 viene invitata assieme a fotografi di fama internazionale alla mostra Eyes on Paris presso la Deichtorhallen di Amburgo.
Espone regolarmente in Svizzera e Europa. Le sue fotografie si trovano in collezioni pubbliche e private.

www.stefaniaberetta.ch

Giusi Campisi


Nata a Torino nel 1966, termina gli studi nel 1990 diplomandosi in Scenografia all’Accademia di Belle Arti. Lavora per alcuni anni nell’ambito teatrale come scenografa e costumista e nel 1997 fonda il collettivo artistico Suzie Wong Project.
Nel 2011 costituisce il gruppo di lavoro multidisciplinare GAP selezionato con l’opera Bar Italia per Open ed è promotrice e curatrice di DEEP progetto artistico in corso a Trento.
Nel 2012 produce il video Scarto minimo e nel 2011 l’installazione urbana Panorama per la Festa del I maggio di Trento.
Nel 2010 lavora a Densità di grafite, Biblioteca Civica di Trento; Solo l’inizio, installazione urbana sempre a Trento, a cura di Cafè Culture; Senza il sogno di una cosa, installazione al Convegno Internazionale di Sociologia del lavoro, Università degli studi di Trento
Nel 2009 presenta l’installazione Senza il sogno di una cosa, Crac Centro di ricerca per l’arte contemporanea di Cremona, a cura di Dino Ferruzzi; 24 Hours Hotel, Mart di Rovereto, workshop con installazione artistica nella camera 310 dell’ Hotel Leon d’Oro, Rovereto.
Nel 2008 la Fondazione Cuminelli a Cisano, Brescia ospita l’installazione urbana Panorama e, nel 2007, Interno 13 partecipa alla rassegna video The end alla Cineteca di Bologna.
Nel 2006 partecipa a Neverending Cinema  alla Galleria Civica di Trento; nel 2004 Sexing up Motel alla Galleria Civica di Genova.
Nel 2003 presenta Free Travel Bus, Brescia-Trento visita guidata per stranieri clandestini e nel 2002 partecipa al progetto Wurmkos abitare, casa Parpagliona di Sesto Mi;  è presente a Moltitudini, Tolmezzo; Completely confidential, Castelsanpietro, e produce Logistica 228, Milano; Caduta libera nel 2001.
Nel 2000 è invitata alla Galleria Multimedia di Roma per la presentazione di Dopolavoro, a Settimo Milanese per Babilon e al Museo Marini di Firenze, nell’ambito della rassegna  Entre’acte a cura di M. Scotini presenta la performance “E di paga si piglia assai poco”.
Tra il 1997 ed il 1998 ha presentato Our World, Galleria Bordone Milano, Moving road sempre alla Galleria Bordone, Milano e l’installazione Babilon sexy show a Brescia .
Our world è proiettato alla Società Umanitaria Milano, 0 video 1 all’Accademia di Belle Arti di Brera Milano, Please alCareof Milano.
L’esplorazione del mondo del lavoro, il tema del conflitto nella contemporaneità e la posizione del soggetto di fronte al discorso sociale, sono i temi che configurano la ricerca artistica svolta in questi anni. Prende forma così un insieme di opere progettate a partire dallo spazio pubblico e a questo restituite per una fruizione che è parte dell’opera stessa.Scarto minimo è la sua ultima produzione che verrà presentata alla Biennale dell’Immagine di Chiasso

Anne Golaz

Nata in Svizzera nel 1983, Anne Golaz si diploma alla Scuola di fotografia di Vevey nel 2008.
Attualmente continua i suoi studi ad Helsinki con un master di fotografia presso Taik (Aalto University of Art and Design).
Il suo approccio fotografico si occupa principalmente della rappresentazione delle comunità rurali e della fauna selvatica mettendo in discussione il nostro importante e fragile rapporto con la natura, gli animali e la morte.
“Scènes Rurales” è il primo lavoro di Anne Golaz ed è stato esposto dal 2008 in diverse occasioni, soprattutto in Svizzera e Francia. La sua serie “Chasses” è stata pubblicata da Infolio nel 2010 e selezionata tra le opere per il premio di Aperture Portfolio Prize in New York. Anne Golaz è uno dei giovani fotografi che hanno partecipato alla mostra ReGeneration2. La sua ultima serie «Metsästä (From The Woods)» ha fatto parte dell’ultima edizione di Images, Festival di Vevey e le è stato assegnato il premio Broncolor. E’ stata selezionata per lo Swiss Photo Award 2012. Metsästä è pubblicato nel 2012 da Kehrer Verlag.

www.annegolaz.ch

Nicole Hametner

Nata a Berna nel 1981, attualmente vive e studia a Rotterdam
Diplomata nel 2008 alla Formation supérieure en photographie di Vevey, Nicole Hametner riceve il Prix de la Photographie 2009 dal Canton Berna per la serie dal titolo «Aster». L’opera è edita da Filigranes ed è presentata nel novembre 2008 a Paris Photo. Dopo molte mostre collettive presenta la prima personale di Aster alla galleria Stimultania a Strasburgo nel 2009. La seconda mostra Schwarzes Licht è presentata nello spazio Marks Bond Project a Berna nel dicembre 2010. Per il suo lavoro “Le Sapin” creato per la mostra “Promenons-nous dans le bois” e una retrospettiva di Pierre Aubert con Nicole Hametner & Vincent Kohler allo Spazio Arlaud à Lausanne en 2010, riceve per la seconda volta di seguito il primo premio per la fotografia dal Canton Berna.
Attualmente è impegnata in un programma di studi al Master Media Design and Communication del Piet Zwart Institute a Rotterdam.

www.nicolehametner.ch

Claire Laude

Claire Laude nasce in Francia e studia architettura e fotografia,
Dal 1998 vive e lavora in Francia e a Berlino

Nel 2001 inizia gli studi di fotografia a Berlino alla « Fotografie am Schiffbauerdamm » sotto la direzione di Jörn Vanhöfen e dal 2008 al 2009 prosegue alla scuola di fotografia « Ostkreuzschule de Berlin » con Arno Fischer.

Nel 2002 e 2003, parte per 8 mesi in Senegal per ideare e seguire la costruzione di 2 edifici nei dintorni di Dakar.
A seguito di questo soggiorno realizza un progetto di libro dal titolo «SÉNÉGAL, Présences» che contiene fotografie e testi e che è stato esposto in Francia.

Dal gennaio 2010 dirige, insieme ad un collettivo di altri 11 fotografi, la galleria exp12- exposure twelve à Berlin.

Il suo lavoro si concentra sulla visione e percezione di un luogo, del posto preso dall’essere umano in questo preciso luogo ed dal ruolo sostenuto dalla memoria.

Mostre
Nel 2012 le sue proiezioni “Chimères” e “the FLOOD Wall” sono presentate ai seguenti Festival:
“Fotoleggendo” di Roma e “Basis” ad Amsterdam;
“the Jury Projection”Les Boutographies a Montpellier
e alla riapertura della Galerie exp12 di Berlino
Sempre nel 2012 la Galerie Miror Miror di Lione espone il lavoro “Chimères” e partecipa alla collettiva “Vendredi Treize” alla Galerie exp12 di Berlino

Nel 2011 partecipa a collettive al Festival Manifesto di Toulouse allo spazio Planket di Berlino ed alla proiezione “the Jury Projection” al Festival Les Boutographies di Montpellier.
Nel 2010 partecipa alla collettiva Re-Take, Month of Photography di Berlino nella Galerie exp12.
Lo stesso anno ha una personale sempre a Berlino con il lavoro Berliner Jahrhundertläden alla Galerie exp12, Berlino ed una collettiva dal titolo “twelve exposures” sempre alla Galerie exp12, Berlino

Nel 2009 riceve il premio Mission Jeunes Artistes a Tolosa e nello stesso anno partecipa ad altre mostre collettive all’Atelierhof Kreuzberg di Berlino; alla mostra “Let down the ruler” nello Studio Julie Mehretu, Berlino e al Festival des itinéraires des photographes voyageurs, Bordeaux.

Nel 2008 mostra personale «Sénégal PRÉSENCES», Espace Transit, Montpellier.
Nel 2007 proiezione nell’ambito di «Voies Off Arles» in Francia e mostra collettiva al Festival Off des Chroniques Nomades di Honfleur, Francia

www.clairelaude.de

Anna Leader

Nata in Inghilterra nel 1979.

Negli ultimi sette anni l’artista inglese Anna Leader ha lavorato tra il Canton Ticino e l’Inghilterra, concentrandosi principalmente sulla fotografia paesaggistica e documentaria. Ha esposto in diverse mostre in Europa, tra cui le personali alla Rada di Locarno, alla Coalmine Gallery di Winterthur e alla Galerie Campagne Première di Berlino.

Piritta Martikainen

Nata in Finlandia nel 1978 e si trasferisce in Svizzera nel 2003. Vive e lavora a Locarno e ritorna in patria regolarmente ogni anno.
Studi
1999-2003 Saimaa University of Applied Sciences, Fine Arts, specialisation of Photography, Imatra, Finlandia
2002 In exchange with Academy of Fine Arts of Vienna, Austria  1998-1999 Folk High-School of Pohjois-Savo, Fine Arts, Kuopio, Finlandia
Esposizioni collettive
2012: 8a Biennale dell’immagine, Chiasso, Svizzera
1°Photomeeting Terredilago, Villa Borghi, Biandronno, Italia
Photo en altitude, Val d’Anniviers, Svizzera
Profumo di mare, arte moderna Ammann, Locarno, Svizzera
Vive les Femmes, il Rivellino, LDV art gallery, Locarno, Svizzera
Overgamed, Villa Dutoit, Ginevra, Svizzera
2011 alla Casa al Centro di Caviano, con Alberto Flammer e Reto Rigassi, Caviano, Svizzera
2010 ”Che c’è di nuovo?” ”Uno sguardo sulla scena artistica emergente in Ticino”,  Museo Cantonale d’Arte, Lugano, Svizzera 2009: IMAGO_LO 9,5 km2 per 9 fotografi, bluvanoni – Chiesa di San Rocco, Losone, Svizzera
”Fiction”, Casorella, Locarno, Svizzera
2008-2009 Clinica Varini, Orselina, Svizzera
2008 ”NISKA 2004-2008”, Spazio NISKA, Locarno, Svizzera
2007 ”Torno subito! Atto II”, Substitut, Berlino, Germania
2006 ”Che c’è di nuovo?” ”Uno sguardo sulla scena artistica emergente in Ticino”, Museo Cantonale d’Arte, Lugano, Svizzera
2005: ”Beyond” Nuova Fotografia Ticinese, Galleria d’Arte Fondazione Patrizio Patelli, Locarno, Svizzera
”Sei Suomi”, Spazio NISKA, Locarno, Svizzera
2003: ”(F)art privé”, Centro Culturale Rada, Locarno, Svizzera
Graduated of the fine arts 2003, Taidepanimo, Lahti,  Finlandia
”Based on a True Story”, Museo d’Arte Imatra, Finlandia e Kaapelitehdas Helsinki, Finlandia
2002: ”Boxenstop”, MAK – Austrian museum for Applied Art / Contemporary Art, Vienna, Austria
”Grafika in”, Pärnu, Estonia
Esposizioni personali
2006: ”Remember me, whispers the dust”, FotoGrafia Festival Internazionale di Roma, Galleria Stella, Roma, Italia, doppia personale con Anna Leader
”Pimeässä”, Spazio NISKA, Locarno, Svizzera

www.pirittamartikainen.com

Sara Rossi
Nata a Milano (1970) dove vive e lavora.
Diplomata nel 1993 in Pittura all’Accademia di Brera espone dal 1995 prevalentemente video, fotografie e installazioni in mostre presso musei, fondazioni e gallerie d’arte italiane e straniere. Fra le altre mostre ha esposto: al Museo Pecci di Milano in collaborazione con Spazioborgogno la video installazione Lanterna Magica nel 2011 (anteprima). Lo stesso anno realizza un gruppo di stampe calcografiche e fotografie per il progetto e libro d’artista collettivo Lie Detector presentato al C/O Docva di Milano. Nel 2010 partecipa come finalista al Premio Terna nella categoria a inviti Terawat con la video installazione Otto (2008); lo stesso anno espone Passi (video inst. 1998) alla mostra Linguaggi e sperimentazioni. Giovani artisti in una collezione contemporanea, al Museo MART di Rovereto, e il suo video W o l’isola del fuoco (2007) viene presentato al Shanghai Urban Planning Exhibition Center di Shanghai, per la mostra Contemporary Energy. Italian  Attitudes e al Padiglione Italia dell’Expo di Shanghai 2010. Nel 2009 realizza, per Venezia Salva – Omaggio a S. Weil, evento collaterale della 53° Biennale di Venezia (ai Magazzini del Sale), il libro fotografico Mose. Lo stesso anno partecipa a mostre come Scénographies, Musée de Valence (FR) e Italian Genius Now, prima al Macro di Roma poi fino al 2012 come mostra itinerante che si sposta in varie sedi nel mondo. Nel 2008 dopo la personale Otto (Galleria Enrico Fornello, Prato) realizza nuovi video che presenta in mostre internazionali come Manifesta 7 (Tabula Rasa, The Rest of Now, Bolzano). Nel 2007 ha le sue prime personali in spazi pubblici: Critica in arte – Sara Rossi, MAR Museo della città, Ravenna; e Acrobazie#3, al Centro di Riabilitazione Psichiatrica di S. Colombano al Lambro (MI). Partecipa con Carosello (installazione, collage di cartoline postali, 2005) a  Strade BluArte alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, nel 2006. Nel 2005 pubblica il libro fotografico Miele con Gli Ori editore (per Galleria Nicola Fornello) e partecipa al progetto speciale +a –a (Luciano Pistoi) di Arte all’Arte X, a Linari (SI) e ad altre mostre quali: Le temps d’une photo, Galerie d’Exposition du Théâtre de Privas (FR), 2005; Bambini nel tempo, Palazzo Te, Mantova, 2004; Nel 2003 prende parte a rassegne internazionali quali la 50° Biennale di Venezia (Premio Giovane Arte Italiana del DARC- MAXXI di Roma) con la doppia video installazione Le cocu magnifique; la 7° Biennale di Lione e la X Biennale di fotografia di Torino. Nel 2002 vince il premio New York, indetto dal Ministero degli Affari Esteri e dall’ Italian Academy presso la Columbia University di New York.

www.sararossi.net