PAESAGGI IMPROBABILI – RELIGAMEN
Stefania Beretta

Testo di presentazione
Paesaggi Improbabili – RELIGAMEN
di Viana Conti

video presentazione di Viana Conti

ENTRATA LIBERA
fino al 24 12 2020
prolungata fino al 22 gennaio 2021
SOLO SU APPUNTAMENTO

Catalogo disponibile

PER NOI LA CULTURA È INDISPENSABILE …ed è con uno spirito da resistenti che, in accordo con l’autrice, apriamo fiduciosi la mostra Paesaggi Improbabili – Religamen di Stefania Beretta, fotografa ticinese della quale abbiamo seguito il lavoro negli ultimi 30 anni e con la quale abbiamo condiviso alcune esperienze espositive come quella nello nostro spazio a Chiasso nel 2004 per la mostra INDIARASOTERRA; la collettiva SETTE NOTTI  sempre in CONSARC/GALLERIA nel 2012; nello spazio  OnArte a Minusio con la mostra ONPHOTOGRAPHY3 nel 2018 e nello spazio privato ad Arles durante i Rencontres de la photo 2018.

Questa nuova mostra dal titolo Paesaggi Improbabili – RELIGAMEN (termine latino che può essere tradotto in “tenere insieme” ma anche relegàre e/o religére, nel senso di scegliere una nuova religione) fa parte di una serie iniziata nel 2006 dove Stefania interviene sulla stampa fotografica prima con la macchina da cucire e in seguito manualmente.

La situazione venutasi a creare per la pandemia ha fatto slittare di alcuni mesi l’apertura della mostra in Svizzera, preceduta da quella in Germania, presso Maurer Zilioli Contemporary Arts di Monaco e che seguirà, nel gennaio del 2021, negli spazi di SharEvolution Contemporary Art diretta da Chiara Pinardi a Genova.

La mostra è accompagnata da un catalogo arricchito da un testo di Viana Conti in italiano e in inglese.

Prezzi su richiesta / Prices on request
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Paesaggi improbabili #90 – 2019
silver-print+cucito   cm 28 x 35     ed. 1/1

Paesaggi improbabili #87 – 2018
injekt-print+cucito  cm 50 x 65     ed. 1/1

Paesaggi improbabili #102  –  2019
silver-print+cucito  cm 28 x 35      ed. 1/1

Paesaggi improbabili #51 – 2015
fineart paper+cucito  cm 84 x 64     ed. 1/1

Paesaggi improbabili #52 – 2015
canvas-print+cucito  cm 118×140    ed. 1/1

Paesaggi ImprobabiliRELIGAMEN
testo di Viana Conti, Genova

La mostra personale che Stefania Beretta presenta, in itinere progressivo, in tre gallerie europee, s’intitola Paesaggi ImprobabiliRELIGAMEN. Termine latino, quest’ultimo, che, in Lattanzio, deriva da religāre, riconducendo così alla nozione di unire, tenere insieme tramite un legame di natura fisica e spirituale; in Cicerone deriva da relegĕre, riconducendo alla condizione di riconsiderare con attenzione, riguardo, cura; in Sant’Agostino deriva da religĕre, riconducendo alla condizione di scegliere nuovamente la “religione” o fede smarrita. Tre tesi non incompatibili tra loro, anzi, interagenti, condividendo atteggiamenti di fiducia nella scelta di un percorso e di un “maestro”, che, nel caso di questa artista svizzera, segue un indirizzo di prevalente tradizione orientale. Ognuna delle tre mostre istituisce, nella messa in scena delle opere, una centralità del suo discorso intorno alle figure reali-concettuali dell’Albero e dell’Acqua.

Non sono i luoghi geografici, disseminati nel mondo, che questa mostra considera rilevanti, a quanto afferma l’artista stessa, ma le “figure” d’elezione e riferimento chiamate in campo, come l’Acqua e l’Albero, in prima istanza, il Filo, l’Uomo e la Natura, in seconda. Non secondarie sono le loro modalità sinestesiche di interazione. La serie dei Paesaggi Improbabili, iniziata nel 2006, connotata esteticamente dall’intervento a cucito sulla stampa fotografica, inizialmente a macchina, successivamente a mano, è preceduta dai collage, con interventi a matita grassa, e dalla drammatica serie In Memoriam, in dittici o trittici, stampati da negativi bruciati, in cui le fotografie di boschi distrutti dal fuoco sono accostate ad analoghi riquadri monocromi: pagine di vuoto e silenzio.

Aqua Vitae, in latino, è l’Acqua alla base di ogni forma di vita, di ogni ecosistema: fluida allo stato liquido, solida in forma di ghiaccio, aerea nel vapore acqueo, precipitato atmosferico in forma di candida neve. Elemento fondante nella Natura e nella Cultura, l’acqua diventa cultuale-liturgico-sacrale nelle forme religiose, estetico-emozionale nel linguaggio dell’arte.

Calme o tempestose, torrentizie o lagunari, in bianco e nero o a colori, le acque compaiono nei Paesaggi Improbabili di Stefania Beretta come insostituibile Religamen tra il cielo, attraversato dai lampi improvvisi delle cuciture serpentine, lineari o spezzate, e la terra, brulicante di erbe e muschi intessuti di fili policromi, in Paesi d’Oriente e d’Occidente. Dal riflesso degli immobili specchi d’acqua di Stefania Beretta è scomparso il seducente, egocentrico, Narciso, per lasciar affiorare le tracce della comunità tramite l’opera, non sempre costruttiva, dell’uomo. Lo sa bene Arundhati Roy, la scrittrice indiana – nota anche all’artista come attivista impegnata nel rispetto dei diritti umani, nell’ecologia, nell’antiglobalizzazione – quando scrive dei disastri indotti dal mutare di un’agricoltura sostenibile in una forzatamente intensiva e speculativa, della devastazione di foreste e campagne da parte delle multinazionali che, alzando gli argini, per il contenimento delle acque, provocano allagamenti di antichi, irrecuperabili, paesini, o siccità e salinizzazione di campi coltivabili, riducendo in miseria le modeste comunità contadine.

L’Acqua dilaga, nella stasi del silenzio, nelle argentate simmetrie speculari, su cui scivola, tra rosse quinte verticali, una barca con a bordo un’unica esile figura umana: all’orizzonte si stagliano le brune silhouettes delle palme, dei ficus peepal, dei chandan, i nostri alberi di sandalo, delle Rudraksha. In superficie, il doppio della realtà si delinea nei tenui grigi dell’ombra, mentre l’albero, verso il cielo, dritto o contorto, rivendica la protezione della terra, la continuità della vita.

Aqua et Arbor vitae sono, infatti, gli elementi che costruiscono, nel lavoro di Stefania Beretta, un’architettura celeste. I suoi alberi di betulla, rilegati da cuciture di poligoni geometrici o con il tronco circondato da un giro di filo, si parlano dalla Svizzera alla Lituania. Visibili o invisibili, dichiarati o taciuti, questi fili tessono quella continuità relazionale in cui, come un fiume, scorre l’esistenza. Il ricorso dell’autrice allo sfocato è più leggibile in direzione dinamico-temporale o di messa a distanza, che come effetto poetico-letterario.

L’insieme delle opere, richiama alla mente l’albero della conoscenza, quello della Bodhi, in India, ai cui piedi Siddharta riceve l’illuminazione, quello dei tre pilastri della Cabala ebraica, quello dei maestri spirituali, degli sciamani, l’albero del mistero, caro a Carl Gustav Jung, che lo ambienta nel bosco, archetipo dell’enigma della vita, l’arbor philosophica degli alchimisti, il tutto sorretto dallo Skambha: l’Albero Cosmico. Due linee unite ai vertici di due triangoli configurano, in cosmologia, un albero verticale, simbolo del maschile, e un albero orizzontale, simbolo del femminile. I segni geometrico-poligonali che si alzano dalle acque per stagliarsi sulla linea d’orizzonte e proseguire nell’aria, non solo tracciano, scrivendoli con il filo e l’ago, i percorsi dell’immaginario dell’autrice, non solo proiettano possibili rotte oniriche, ma costruiscono anche, assecondando pulsioni automatiche in arrivo dal profondo, realtà alternative. Il contrasto tra la loro astrazione segnica e la naturalità concreta del paesaggio, di cui è capace la fotografia, pur come doppio del reale, accresce la tensione dialettica dell’opera, come ha riscontrato Walter Benjamin nella sua anticipatrice Piccola storia della fotografia, apparsa la prima volta nel 1931 sulla rivista “Die literarische Welt”, in cui viene pubblicata in tre saggi successivi. All’arte fotografica, il filosofo berlinese, di cultura ebraica, attribuisce una potenzialità innovativa, a livello percettivo e cognitivo, a partire dalla tecnologia che la supporta, e una conseguente radicale mutazione dello sguardo.

Il ciclo Paesaggi Improbabili è da considerarsi di carattere transmediale, interessando le categorie estetiche di fotografia, di scrittura manuale policromo/monocroma, di sequenze, virtualmente filmiche, di fermi-immagine. La dimensione polisemica dell’opera interessa, di conseguenza, anche tre piani di lettura, a partire da quello visuale, attraverso quello gestuale, per arrivare a quello dinamico-temporale. Ma non è tutto. La relazione, tra diversi campi di linguaggio, impegna una lettura fenomenologicamente attiva sul piano bidimensionale, tridimensionale e foto-dinamo-grammatico, termine di conio, indubbiamente, warburghiano.
La dimensionalità transcategoriale dell’opera di Stefania Beretta muta, attraverso l’intervento manuale, lo statuto epistemologico della fotografia d’arte, che, dalla riproducibilità seriale dell’originale, transita sull’unicità e irripetibilità dell’oggetto estetico, in vista dell’interpretazione del critico e della visione dello spettatore. Riflessione questa che non è in contraddizione con quella della scrittrice statunitense Susan Sontag quando ne considera l’immagine, potenzialmente seriale, non come copia di un originale, ma come un oggetto estetico concluso, da possedere, sottraendo così la visione occidentale della realtà al mito della caverna di Platone.
Un ulteriore elemento fondamentale dell’opera dell’artista ticinese è quello di rappresentare antropologicamente il fattore umano assentandolo visualmente dal quadro, ma non cessando di alludervi per indizi. Ogni elemento parla dell’uomo, a partire dall’allagamento di terreni coltivati, dalle reti da pesca stese tra i pali di uno specchio d’acqua, dalle strutture metalliche di un terrazzo panoramico sul mare, dalle barriere pietrose e dalle dighe di costrizione delle acque, dall’inquinamento e ostruzione dei torrenti da rifiuti alla deriva, e, dulcis in fundo, dai fili benaugurali e rituali avvolti dalle giovani spose alle radici aeree dell’albero sacro Banyan, in India.

Restringendo, fondamentalmente, lo scenario espositivo ai due principali soggetti dell’Acqua e dell’Albero, l’artista perviene, in modo paradossale, all’apertura di una dimensione cosmico-alchemica, densa di risonanze. Come si confrontano, in termini di Natura e Cultura, di Vita e Pensiero, di Materia e Immateriale, questi due elementi protagonisti? Restituendo, verosimilmente, a chi guarda, a chi interpreta, uno scenario in cui realtà e immaginario, superficie e profondità, istante e memoria, non cessano di delineare una cartografia ontologico-bio-antropologica dell’essere nel mondo. È infatti la qualità simbolica e archetipica degli elementi scelti dall’artista che conferisce quello spessore mentale, visuale, lirico-narrativo, associativo-immaginale, contemplativo, che fonda la poetica di Stefania Beretta. In una sequenza di fermi-immagine figurali, si condensano flash di presente e passato, in cui affiorano eventi attuali o remoti, elaborati consciamente o rimossi. Prende progressivamente forma, di opera in opera, la trama di un film il cui esito finale è la vita di un’artista sul sentiero, è il ritratto di quel pellegrino che fa dire al poeta spagnolo Antonio Machado: caminante no hay camino se hace camino al andar/viandante, non c’è cammino, il cammino si fa andando.

PAESAGGI IMPROBABILI – RELIGAMEN
Stefania Beretta
testo di Viana Conti
(italiano, inglese)
2020 – 
300 copie

cm 24×22.5
Arti Grafiche Salin – Italia
EUR 20.-

17 volumi
con stampa originale in copia unica
cm 21×21
EUR  400.-

una delle 17 stampe originali
di cm 21×21 venduta insieme al catalogo
della mostra, a  EUR  400.-