I leopardi
Di tanto in tanto Gilda alza gli occhi al cielo. È al completo con le sue nuvole galleggianti, come donne mobili.
Il cielo poi ha i colori del cielo, qualche notte è lunatico, qualche volta è un mantello nero che ti copre il viso fino agli occhi, altre volte si prende gioco del mare, lo imita, così confonde i naviganti.
Gilda ha lunghi capelli neri, di giorno avverte la leggerezza e il cielo le sembra un grande palloncino, di quelli che sfuggono di mano ai bambini e volano alti sopra il loro pianto. Poi le lacrime asciugano e la palla non si vede più.
Allora il giorno per Gilda è lieve per l’odore dei panifici che si aggira indisturbato per l’aria, svicola tra le vie strette del centro, entra nelle fessure delle finestre, così Gilda annusa quell’aroma che sa di santo.
È felice mentre si fa uno shampoo, ripensa al mare della Grecia, alle spiagge, a come sono intatte, alla mano dell’uomo a cui qualcosa sfugge sempre.
S. Holmes direbbe che in quel tavolo è stato consumato cibo. Si nota dai resti di pane rimasti sulla tovaglia. Per l’investigatore sono tracce di presenze umane affamate dalla notte.
Per Gilda che ha dimenticato le chiavi di casa sul tavolo, quelle briciole, invece, sono stelle appoggiate sopra un universo tessuto. Gilda vede le stelle e quella stessa sera, sulla stessa stoffa stellata, ritroverà lo stesso universo da tavolo, andrà alla finestra e svuoterà tutte le stelle sulla via, poi fisserà la notte e vedrà i leopardi.
Carlo Cecchi